Il dopo Brexit protagonista della cena-dibattito dell’AIIM al Novotel di Monte-Carlo

Dopo il referendum del 23 giugno, ha preso avvio il delicato processo di negoziazione per rendere effettiva l’uscita di Londra dall’Unione Europea, mentre le imprese del Regno Unito e straniere si stanno interrogando su quali cambiamenti si prospettano (sono oltre 280.000 gli italiani iscritti all’AIRE In Inghilterra e nel Galles, secondo i dati diffusi a dicembre 2016 dal consolato generale d’Italia a Londra).

A portare la voce degli imprenditori italiani nel Regno Unito ai colleghi del Principato di Monaco, durante la conferenza del 3 novembre 2016 – alla presenza di alcune personalità e dell’ambasciatore d’Italia Cristiano Gallo – è stato Claudio Cornini, fondatore e CEO di Cornhill & Harvest Ltd, investment Banking, boutique di Londra con focus su M&A e capital raising.
“Un banchiere oramai londinese ma con forti radici italiane” ha tenuto a precisare Diego Munafò responsabile amministrativo dell’Associazione Imprenditori Italiani a Monaco (AIIM), ripercorrendo le tappe della carriera del relatore, condotta ai vertici delle banche del nostro Paese prima del trasferimento a Londra.
“Proprio oggi è accaduto un evento importante, quindi sono privilegiato nel darvi questa informazione – ha esordito Cornini – è di stamane infatti la sentenza dell’Alta Corte d’Inghilterra e Galles sul metodo da seguire per l’attivazione dell’articolo 50 (si tratta dell’articolo 50 del trattato di Lisbona relativo alla procedura per lasciare volontariamente l’Unione Europea, n.d.r.) e quest’ultima ha stabilito che il parlamento dovrà votare su quando attivarlo”.
Contro la decisione dell’Alta Corte in materia di Brexit ha fatto seguito il ricorso presentato dal governo alla Corte Suprema. Ma oltre a questo importante passaggio, in una vicenda in costante evoluzione, sono moltissimi gli aspetti legati al dopo Brexit che Cornini ha evidenziato durante la serata monegasca.
“Anche se tutto può succedere – ha detto – non credo che il parlamento possa revocare la decisione del referendum. Quello che può avvenire è che avendo più potere negoziale, alzerà la posta e quindi attiverà il processo dell’articolo 50 solo se il governo prefigurerà un’uscita di tipo soft”.
Memore della filosofia di Winston Churchill, “siamo in Europa, non dell’Europa”, il Regno Unito dunque si interroga su cosa riserva il post Brexit. “Il commercio può sopravvivere anche in una situazione di hard Brexit – ha spiegato il banchiere italiano – anzi c’è chi sostiene che si potranno accelerare gli accordi bilaterali, per esempio col Canada o con Paesi come l’India. E anche se il quadro si complica con la posizione della Scozia (che ha messo in discussione la permanenza nel Regno Unito e minacciato un referendum se le trattative sulla Brexit dovessero portare al prevalere della linea dura con l’Unione Europea, n.d.r.), non credo si arriverà a un referendum perché il 40 per cento degli elettori scozzesi ha votato per uscire”.
Un modo di agire e di muoversi, quello attuale del Regno Unito, che poggia su alcuni elementi, fra cui il principio di sovranità nazionale. “La Gran Bretagna si vede come un potere globale – ha spiegato Cornini – inoltre vi è un percepito disfunzionamento dell’Unione Europea, a seguito di questioni come quella Greca, Ucraina e più in generale dell’immigrazione”.
Molto interessante e mirato a chiarire i risvolti pratici dell’uscita dalla U.E. il dibattito seguito alla conferenza. C’è una ragione valida per pensare che il Regno Unito possa continuare a svolgere, come ha fatto fino ad ora, un ruolo importante nell’economia mondiale? Ha domandato al relatore della serata il presiedente dell’AIIM Niccolò Caissotti di Chiusano. “Dipende da cosa si accompagnerà la Brexit – ha risposto Cornini – se si legherà a una politica liberista, di abbattimento delle tasse è un conto; se si accoppierà invece a una politica protezionista, allora abbiamo un problema. La Brexit potenzialmente è una grande leva di crescita, se unita a una spinta molto liberista”.
Ad analizzare la situazione è stato, infine, nel corso degli interventi anche Fabrizio Carbone, direttore responsabile di Monaco Imprese e presidente di Sportello Italia. “Con il voto – ha detto – è stata espressa una forte posizione contro Londra: Londra capitale, Londra che ha dimenticato le campagne, Londra che non ha aiutato certe aree, certi distretti industriali, ma se questa Brexit andrà avanti, credo ruoterà soprattutto attorno alla libera circolazione. Più che le banche, l’elemento fondamentale sarà l’uomo. Cornini ha parlato giustamente dell’emigrazione dei cittadini dell’Unione Europea ed extracomunitari verso la Gran Bretagna, però non bisogna dimenticare il milione e mezzo di britannici che vivono in Europa, tra la Spagna continentale e insulare, il Portogallo e anche in Italia, come in Toscana per esempio. Quindi c’è una forte presenza britannica nell’Unione Europea che deve essere considerata. E credo che il problema della persona e della libera circolazione sarà un elemento fondamentale”.
A seguito delle ultime vicende politiche internazionali, Claudio Cornini ha risposto ad alcune nostre domande.

L’elezione di Trump avrà effetti diretti sul processo di uscita del Regno Unito dall’Unione Europea?
“Credo sia stato un colpo di fortuna per il Regno Unito. Trump apprezza la Brexit. Ha persino chiesto al suo elettorato, alla vigila delle votazioni, ‘datemi una grande Brexit’. A differenza di Obama, che aveva detto che il Regno Unito sarebbe stato ‘in fondo alla fila’ per negoziare accordi commerciali bilaterali, Trump ha già dato indicazioni di volere arrivare presto a un accordo. Inoltre la Brexit, da fenomeno indecifrabile, viene ora letta – a torto o a ragione – come l’inizio della filiera di cambiamenti anti-establishment del 2016, che è proseguita appunto con l’elezione di Trump negli USA e con la sconfitta referendaria di Renzi in Italia”.
Quali saranno secondo lei i tempi effettivi del negoziato per l’uscita dall’Unione Europea?
“Credo saranno tempi formalmente rapidi in un’ipotesi di hard Brexit. Questo è oggi lo scenario più probabile, perché consente di evitare un processo gestito ideologicamente dai funzionari di Bruxelles (che si giocano il futuro del loro ruolo di demiurghi di un’Unione sempre più stretta) e l’approvazione o disapprovazione di 27 parlamenti più una mezza dozzina di assemblee regionali tipo Wallonia. In questo caso il vero tema diventano i tempi del negoziato degli opt-ins su argomenti ad hoc, tipo Svizzera. Il rischio è che gli eventuali opt-ins entrino in vigore dopo la fine del periodo transitorio. Il che rischia di rendere hard e soft Brexit sostanzialmente equivalenti in termini di incertezza e tempistica del processo end-to-end. Questa è la vera leva, magari autolesionista, che ha l’U.E. sul R.U”.
Qual è lo stato d’animo degli imprenditori italiani in Inghilterra, prevale la fiducia o la preoccupazione?

“C’è attesa, ma non mi pare preoccupazione. Non so cosa pensino gli imprenditori italiani che guardano al Paese dal di fuori, ma per chi è già presente, l’uscita dall’Unione è considerata un’opportunità perché si ha già un piede in una staffa extra-UE, in un Paese potenzialmente in grado di aprirsi ai grandi mercati del mondo più velocemente dell’Unione Europea, visti i meccanismi di governance consensuale dell’UE”.
C’è qualche altro aspetto che ritiene di dovere aggiungere rispetto alla conferenza dell’AIIM del 3 novembre, in quanto trattasi di una vicenda in pieno svolgimento?
“Il dibattito politico britannico ha un po’ causticamente introdotto il tema di un accordo post-Brexit con l’Unione Doganale Europea, come ultima spiaggia, alternativa all’appartenenza all’Unione Europea o all’Area Economica Europea. A differenza della AEE (Norvegia, Islanda), un accordo di unione doganale (come l’accordo UE-Turchia del 1996) non implica la libera circolazione delle persone con l’UE. Impedisce però la stipula autonoma di trattati commerciali con Paesi extraeuropei. Credo che anche questa ipotesi non porti da nessuna parte, dato che la libertà di stipula dei trattati internazionali è vista nel Regno Unito, insieme al controllo sull’immigrazione intra-UE, come il grande upside di Brexit.

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